Miele di melata: un prodotto poco conosciuto dalle caratteristiche eccezionali. Molto spesso durante i corsi in cui parlo di miele, più di una persona mi chiede se quello di melata può essere definito miele. Non solo è miele ma ha anche delle caratteristiche portentose. Vi ripropongo, per iniziare, la definizione di miele: Il miele è la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o (attenzione perché qui si parla di melata) dalle sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante (e poi continua) che esse bottinano, trasformano combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare. Quindi si chiama “di melata” quel particolare tipo di miele che proviene dalla raccolta da parte delle api di sostanze secrete da insetti succhiatori.
Gli insetti che producono la melata fanno parte dell’ordine dei Rhynchota. Sono, in particolare, quelli del sottordine Homoptera e, di questo, alcuni generi tra i quali: Cinara, Mindarus, Physokermes, Metcalfa e alcuni altri della famiglia dei Coccidi (https://www.georgofili.info/contenuti/insetti-produttori-di-melata-e-insetti-utili/1801)
Non so se vi ricordate, ma in un precedente articolo vi avevo detto che il nettare non è altro che acqua piovana che le piante succhiano dal terreno attraverso le radici assieme ad alcuni nutrienti. Viaggiando lungo i canali linfatici, la linfa grezza si arricchisce degli zuccheri prodotti dalla sintesi clorofilliana. La linfa, quando la pianta è in fiore, incontra nel suo percorso delle ghiandole che si trovano nel ricettacolo (i nettari) che aprendosi e chiudendosi, ne fanno passare una gocciolina. Il nettare, quindi è linfa (inserire qui il link all’articolo sul miele).
E la melata? Non molto diverso. È acqua piovana che passa nei vasi linfatici della pianta e si arricchisce degli zuccheri della sintesi clorofilliana. In questo caso, però, al posto del nettario trovano la bocca di un afide o comunque un insetto dell’ordine dei Rincoti. Questi insetti hanno un apparato boccale pungente succhiante che penetra tra i tessuti della pianta. È molto simile a quello di una zanzara, che comunque è un insetto totalmente diverso. Molto spesso queste piante, neppure li fanno i fiori.
Il loro apparato digerente si è perfettamente adattato a sfruttare al massimo le loro preferenze alimentarti. Ha una camera filtrante, una sorta di by pass lungo l’intestino che filtra la linfa concentrandone gli elementi essenziali per la vita e deviando l’acqua e lo zucchero in eccesso verso la parte terminale del tubo digerente sotto forma di goccioline.
Per intenderci, la melata è quella sostanza appiccicosa che cosparge la tua auto se la lasci parcheggiata per un po’ di tempo sotto ad un tiglio. Nella dinamica di un ecosistema sano, la melata è parte integrante della catena alimentare essendo utilizzata da una quantità impressionante di esseri viventi. Insetti soprattutto di due ordini: quello dei Ditteri che, per intenderci, è gruppo che accoglie quelli per noi più fastidiosi come le mosche e le zanzare ma anche i sirfidi che si nutrono di polline e sostanze zuccherine quali nettare e melata e che per difendersi dai predatori fanno finta di essere degli apoidei che hanno il pungiglione mentre loro no. Sono tanto bravi che ingannano anche i fotografi che spesso li utilizzano come modelli quanto vogliono presentarci un’ape sul fiore. Ma questo è un altro discorso…
L’altro ordine è quello degli Imenotteri tra cui le api e le formiche. Queste addirittura “allevano” gli afidi, prelevandoli dalle loro colonie con le mandibole e spostandoli nei germogli delle piante ancora non parassitizzati rendendo complesso il loro controllo da parte degli agricoltori. Ma anche funghi. Se la tua auto invece che poche ore la lasci per giorni sotto un albero di tiglio, vedrai che sulla sua superficie si formerà uno strato che oltre che appiccicoso è anche molto scuro. È il micelio prodotto dai funghi di molte specie che vivono a spese della melata.
La quantità di melata emessa da questi insetti può raggiungere quantità incredibilmente alte. In Toscana, ad esempio, nei boschi del Casentino, dove nel passato i monaci camaldolesi convertirono parte della foresta in abetaie, la quantità di melata che in alcuni anni trasuda dal bosco è così elevata che gli apicoltori anziani la chiamano “manna”. È zuccherina e cade dal cielo, ovvio sia manna. Un consiglio, se ti capita, non spiegargli che cos’è davvero… (https://fitonews.wordpress.com/2015/10/26/la-manna-miele-di-rugiada/)
Scusa, ho un po’ divagato… Siccome per la definizione di legge il miele di melata è a tutti gli effetti miele, questa sua provenienza può essere indicata in etichetta anche senza specificare la sua provenienza tipo melata di abete, quercia o altro. Anzi, spesso è molto difficile catalogarla con un’analisi chimico fisica o microscopica, come invece può essere fatto con il miele di nettare. Dato che le api la raccolgono sulle foglie, l’analisi al microscopio del sedimento del miele di melata non evidenzia il polline della pianta che l’ha prodotta ma pollini vari provenienti perlopiù da piante ad impollinazione anemofila. Poi ife o spore dei funghi che si sviluppano sulle melate, alghe e secrezioni cerose provenienti da alcuni degli insetti che la producono. Nel loro complesso questi vengono denominati elementi indicatori di melata.
Tra le possibili denominazioni legate al miele di melata il Ministero delle politiche agricole ambientali e forestali alcuni anni fa ha reso legale, con un apposito decreto, l'equazione - forse un po’ tirata per i capelli - miele di melata = miele di bosco. Quindi è possibile definire come miele di bosco un miele di melata
Dal punto di vista sensoriale, la prima caratteristica che salta all’occhio è il suo colore. Se il miele di nettare è molto spesso chiaro - pensa al miele di acacia, trifoglio, agrumi, tiglio e altri ma attenzione perché non lo sono, ad esempio, quelli di castagno e di erica - il miele di melata, al contrario è quasi sempre molto scuro. A volte addirittura molto vicino al nero.
Le altre sue caratteristiche tipiche sono (per saperne di più leggi l’allegato - Caratteristiche di composizione del miele della decreto legislativo n. 179/2004 - a questo link https://web.camera.it/parlam/leggi/deleghe/04179dl.htm):
Il basso contenuto di acqua, perché le api trovano la melata sulle foglie e, dato che la raccolgono in estate, l’umidità relativa dell’ambiente è di solito bassa e questo influisce anche sul prodotto finale. Ovviamente se la melata è raccolta durante un periodo umido, questa può avere anche una umidità alta, ma difficilmente superiore al 18%.
Una bassa acidità: il pH di solito è compreso tra 4,5 e 5,5, anche se l’acidità libera è sempre piuttosto alta. Il pH del miele di nettare è invece compreso tra 3,5 e 4. Ciò influisce anche sull’HMF che evolve sempre piuttosto lentamente tanto che difficilmente, dopo un anno, supera il valore di 10 mg/kg. Questo capita perché l’evoluzione dell’HMF (di cui parleremo in un prossimo articolo) è fortemente influenzata dall’ambiente acido. Quindi il miele di melata può essere definito come molto più resistente di quello di nettare alle lavorazioni.
Basso contenuto di monosaccaridi: tanto che la legge ha dovuto inserire una deroga al limite minimo di questi zuccheri nel miele di melata. La somma fruttosio + glucosio deve essere superiore a 45 g/100 g (ma di solito si attesta su 50-55 g/100 g), molto inferiore ai 60 g/100 g quale limite minimo previsto per il miele di nettare.
Al contrario del miele di nettare ha un elevato contenuto in oligosaccaridi fra cui vanno segnalati l’isomaltosio (2g/100g), melezitosio (fino a 5g/100g), raffinosio (0,5-2 g/100g), trealosio (0,5-2,4g/100g), maltotriosio ed erlosio, ma basso contenuto in saccarosio (0,1 - 0,8g/100g). Questo lo fa un miele particolarmente poco dolce ma quasi mai amaro. Infatti lo zucchero che in bocca dà la sensazione di dolcezza maggiore è il fruttosio (fatto 100 il potere dolcificante del saccarosio - ovvero lo zucchero di canna o barbabietola - quello del fruttosio è 170) e la sua concentrazione nel miele di melata è più bassa che in quello di nettare. Gli zuccheri che lo sostituiscono, al contrario, hanno un potere dolcificante molto basso (sempre facendo riferimento al potere dolcificante del saccarosio, quello del maltosio è 40, 4 volte inferiore a quello del fruttosio). Attenzione, se stai facendo una dieta devi sapere che il potere dolcificante non è legato a quello calorico. Per tutti i mieli è 304 calorie ogni 100 grammi comunque più basso di quello dello zucchero che viaggia intorno alle 370 calorie/100 grammi.
Rispetto alla cristallizzazione, il miele di melata ce l’ha, solitamente, rallentata perché anche il glucosio (lo zucchero che per la sua scarsa solubilità la innesca) si trova in quantità inferiore rispetto al miele di nettare. Il rapporto fruttosio/glucosio rimane piuttosto alto e supera quasi sempre 1,30. Una eccezione è la melata di larice che, per il suo contenuto in melizitosio addirittura non può essere può essere estratta dai favi.
Il potere rotatorio specifico (un parametro che ha una certa importanza solo dal punto di vista analitico) è positivo, al contrario del miele di nettare nel quale è sempre negativo. Valutare questo parametro può essere tra quelli utilizzati per valutare se in un miele prevale la componente di nettare o quella di melata.
Un’altra caratteristica peculiare del miele di melata è l’alto contenuto in enzimi (invertasi, diastasi e glucossidasi) che supera abbondantemente quella presente nei mieli di nettare, rendendolo un prodotto molto più attivo. Inoltre è alto, più che in tutti gli altri mieli, anche il contenuto in sali minerali.
Dal punto di vista aromatico, benché ci sia una grande diversità tra melata e melata, tutte hanno un caratteristico gusto di caramello, di frutta cotta e di sciroppo erboristico che può essere catalogato come di media intensità. Individuare la sua origine botanica è pressoché impossibile se non per alcuni tipi di melata che hanno caratteristiche organolettiche peculiari e ben riconoscibili, come quella di abete ed alcune di quercia.
Non posso, comunque, sottacere la possibilità che nel miele di melata, se non prodotto in zone integre dal punto di vista ambientale, proprio perché la materia prima non è protetta dal calice del fiore, si possano riscontrare residui di sostanze provenienti dall’inquinamento atmosferico.
Il miele di melata è tipico di alcune zone montuose o boschive dell’Italia sia nelle Alpi che in parte degli Appennini, dove crescono spontanee molte piante attaccate dagli insetti che la producono (soprattutto conifere e querce). Nel resto d'Europa si produce il miele di melata nei massicci montuosi con analoga vegetazione (per esempio nei Vosgi e nel Giura, in Francia) mentre, spostandosi più a nord e verso i climi continentali dell'Europa centrale, queste produzioni si fanno sempre più comuni. Comunque sono paesi produttori di ottime melate anche Grecia, Turchia, alcune zone della Penisola Balcanica, Caucaso e gli Urali.
Dal 1986 formiamo ogni anno centinaia di apicoltori/trici con un unico grande obiettivo: lavorare e vivere in libertà in mezzo alla natura salvaguardando la biodiversità e l'equilibrio del nostro pianeta attraverso l'apicoltura biologica e rigenerativa. Sia hobbisti che professionisti.
Iscrivendoti acconsenti al trattamento dei tuoi dati personali in conformità al D.Lgs 196/2003. Leggi la Privacy Policy . Niente spam la odiamo anche noi.
Del gruppo Bioapi Soc. Agr. s.s.
Via Maestri del Lavoro
Sansepolcro AR
P.IVA 02174970513
© 2020 All rights reserved.
Handmade with love by Hyphae