Come comunicano le api e cosa sappiamo fino ad ora? Possiamo notare come appunto le api da miele siano un sistema complesso e nei sistemi complessi il più che conta sono le relazioni tra i suoi elementi. Per produrre buone relazioni c’è bisogno che funzioni molto bene la comunicazione. La mancanza o una insufficiente comunicazione non permette al sistema complesso di prosperare. Se ci pensi, non è così anche tra noi umani? Quand’è che nascono i problemi di relazione? Quando la comunicazione è insufficiente o contraddittoria…
Già negli episodi passati abbiamo accennato ad alcuni meccanismi che mettono in atto le api per scambiarsi le informazioni. Ma a questo punto urge fare una premessa: le api vivono all’interno di un ricovero (l’arnia) che non lascia penetrare la luce per cui ogni informazione che passa tra i vari individui non può essere di tipo visivo. Altra cosa è quando le api sono nell’ambiente esterno (es: le bottinatrici alla ricerca di una fonte di nettare o polline), allora nella relazione tra loro e i fiori utilizza anche la vista.
Se la luce non c’è, allora meglio usare l’olfatto; il naso delle api sono le antenne e il riconoscimento delle molecole profumate avviene quando la forma di alcuni dei recettori che si trovano sulla loro superficie si adatta perfettamente, come la chiave con la sua serratura, alla loro sagoma. Le molecole da analizzare sono quelle dei feromoni che guidano il loro comportamento. Pensa, sono così forti per loro questi odori che quando tocco la regina con le mani, una parte di loro passa sulla mia pelle e se poi le appoggio sui favi, in un minuto mi trovo centinaia di api che mi camminano sopra. Non so se hai mai visto un apicoltore che, per fare un po’ lo sbruffone, si fa fotografare con la barba fatta di api. Se cerchi su internet ne troverai tantissime. Beh, non fa altro che inserire la regina in una gabbietta e poi scrollare le api dai favi. Nel giro di una decina di minuti, tutte si aggregheranno intorno alla gabbietta che se ha posto sotto il mento, formeranno uno sciame simile ad una lunga e folta barba.
Un altro meccanismo di trasmissione dei messaggi è la trofallassi, ovvero lo scambio di cibo, che è praticamente avviene di continuo. È così potente che se si introducono, attraverso la nutrizione, delle molecole di cui è possibile tracciarne il percorso, queste passano in meno di un’ora nel corpo del 75% delle api di casa.
Un loro affasciante sistema di comunicazione sono i suoni che riescono ad ascoltare sempre attraverso le antenne, ma probabilmente anche con la restante parte del corpo. Ce ne sono di tanti tipi il cui significato non è ancora del tutto noto. È facile notare, tra l’attività frenetica di una colonia, delle api che si muovono in maniera apparentemente scoordinata mentre emettono ben distinti ronzii. Ma, tra i suoni emessi dai componenti dell’alveare, certamente il più caratteristico è quello della regina. A me è capitato di ascoltarlo molte volte ma in particolare in due occasioni: quando la regina vergine sta per partire per la costituzione di uno sciame secondario (lo sciame secondario è quello che parte dopo quello primario in cui è presente la vecchia regina, quindi feconda) ma soprattutto quando la colonia ha deciso che sarà lei la prescelta e va alla caccia delle altre ancora in incubazione per eliminarle. Infatti stimolate dal canto queste ultime rispondono e così riesce a individuare le celle reali. Quando questo sta avvenendo, quindi non così frequentemente, se si apre l’alveare si può sentire chiaramente il canto della regina vergine tanto da poterla facilmente individuare tra i vari favi del nido. La puoi scorgere correre sulla superficie di uno di essi e ogni tanto fermarsi, comprimere il corpo sulle cellette ed emettere un suono ipnotico.
Davvero le api sembrano essere ipnotizzate da questo suono. Mentre lo produce sembra che tutto si fermi, le api di casa sembrano congelate, per il perdurare del suono, nessuna si muove per poi riprendere l’attività appena smette. Incredibile!
Ma le api hanno un ulteriore metodo per comunicare così incredibile che la sua scoperta, da parte del biologo austriaco Karl von Frisch, è valsa nel 1973 l’assegnazione del Premio Nobel in Fisiologia e Medicina.
L’importanza della scoperta di Frich sta nel aver dimostrato che l’uomo non è l’unico animale che sa utilizzare un linguaggio simbolico. Se quindi ti dico che fu oltremodo osteggiato dagli scienziati suoi colleghi dell’epoca puoi capirne anche il perché: stava incrinando la concezione dell’uomo essere superiore al di sopra della natura più che un animale come tutti gli altri, con qualche capacita peculiare ma questo vale per ognuno di essi. Insomma, un’ape bottinatrice sa “raccontare” ad una propria compagna il tipo di fiore che ha bottinato, quanto distante è dall’alveare e che direzione deve prendere per trovarlo facilmente. Per rendere esplicito questo concetto complesso, naturalmente, non utilizza la parola, bensì i gesti, ovvero danza. Di danze per il raccolto le api ne compiono di due tipi; una, quando i fiori si trovano a meno di 25 metri dall’alveare ed è denominata danza circolare, un’altra, invece, quando sono ad una distanza superiore a 100 metri, battezzata danza dell’addome. Nelle distanze intermedie, l’ape compie danze di transizione tra l’una e l’altra. Nella prima, l’ape, appena tornata in alveare, si dirige verso la parte alta del favo e disegna freneticamente e per più volte traiettorie circolari mutando ripetutamente il verso del suo percorso, una volta in senso orario, poi in quello antiorario. Ogni tanto si ferma e rigurgita una gocciolina di nettare profumato che viene raccolto da alcune api che le stanno vicino. Questo è un tipo di danza che comunica alle compagne: “i fiori sono nelle vicinanze, cercateli utilizzando l’olfatto”.
La seconda, invece, la realizza quando il cibo si trova ad una distanza superiore ai 100 metri; è più complessa ma dà indicazioni più precise circa la sua direzione e lo spazio che lo separa dall’alveare. Se un’ape, esplorando il territorio, trova un abbondante pascolo, dopo aver riempito la sua borsa melaria, fa ritorno all’alveare con il prezioso bagaglio e si mette a danzare descrivendo, innanzitutto, un semicerchio, per poi tornare al punto di partenza percorrendo un tratto rettilineo; quindi traccia un secondo semicerchio a completare il giro per poi, di nuovo, percorrere il tratto rettilineo comune ai due semicerchi, praticamente un otto schiacciato contenuto in un cerchio. Mentre la bottinatrice delinea questo segmento, fluttua l’addome (e per questo viene chiamata danza dell’addome o scodinzolante) e, contemporaneamente, emette dei flebili suoni. La durata della danza e il numero di “scodinzolamenti” che compie nel tratto lineare, sono in stretta relazione con la distanza tra il cibo e l’alveare che, probabilmente, la bottinatrice calcola in base all’energia che ha consumato nel tragitto. La compagna sa leggere perfettamente questo dispendio tradotto in una danza più o meno lenta, e troverà facilmente il pascolo.
L’altro elemento necessario alla localizzazione dei fiori è la direzione che le bottinatrici devono prendere una volta uscite dall’alveare.
Le api che osservano la danza hanno due punti fermi e un’incognita: la posizione dell’alveare e quella del sole, che varia lentamente ma sanno leggere i piccoli scostamenti mediante una sorta di orologio interno, sono i punti fermi; l’incognita da determinare è la posizione del pascolo. Nella mente dell’ape che si produce nella danza simbolica detta dell’addome, l’alveare è il centro della danza, il sole è in alto, mentre la direzione del pascolo è simboleggiata dal tratto lineare in cui avviene lo scodinzolamento.
Se i fiori si trovano esattamente sulla linea immaginaria che congiunge l’alveare con il punto relativo alla proiezione a terra della posizione del sole, la danza verrà eseguita percorrendo il tratto rettilineo, in cui l’ape danzante scodinzola, verso l’alto, disegnando un’angolo zero; se, invece, i fiori sono esattamente dalla parte opposta, e quindi per raggiungerli le api devono dirigersi avendo il sole alle spalle, anche la danza sarà eseguita nel senso opposto, ovvero percorrendo il tratto rettilineo a testa ingiù: disegnano un angolo di 180°; se, invece, i fiori si trovano collocati a destra o a sinistra di un angolo X rispetto alla retta che congiunge alveare con il punto a terra del sole, l’ape danzante, nelle sue evoluzioni, ripropone quest’angolo e sposterà il tratto rettilineo verso destra o verso sinistra della stessa medesima gradazione.
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