Di Agricoltura rigenerativa, prima di qualche anno fa, non avevo mai sentito parlare. So solo che fin dall’infanzia ho avuto un istinto di ricerca e curiosità su come, da essere umano, avrei potuto vivere una vita più vicina alla Natura. Non sto parlando di prossimità, bensì di interazione, connessione e relazione. Fin da quando ho ricordi, ho sempre visto nella Natura la risposta a tutto. È lei che guida da miliardi di anni, con le sue leggi e i suoi pattern, l’intera esistenza di questo Universo e Pianeta.
Queste per me erano tutte sensazioni non validate, fino a quando non ho frequentato il mio primo corso di Permacultura. Nessuno nel mondo esterno, se non i miei genitori, vedeva quello che vedevo io. C’è una popolazione da sfamare, mi dicevano i miei professori universitari alla facoltà di agraria. Eppure qualcosa non mi tornava, mi suonava storto. Ma nessuno mi aveva insegnato a fidarmi del mio istinto e quindi credevo che quegli uomini bianchi più anziani, che gerarchicamente mettevo sopra di me, i più esperti, alla fine ne sapessero più di una ragazzina adolescente con pensieri e sogni utopici.
Ma poi c’è stato il mio primo corso di Permacultura, grazie al quale non solo ho finalmente validato le mie sensazioni ma ho anche scoperto che c’era un movimento già in azione che stava con l’esperienza e spesso anche con la scienza dando la risposta a tutti i miei dubbi. Insomma, altro che aprire l’armadio di Narnia, avevo aperto la porta per il mio posto felice.
Ma cos’è la Permacultura? Troppo spesso sento associare alla definizione di Permacultura quello di agricoltura sostenibile e naturale. Mi dispiace rompere questo stigma, ma la Permacultura non è fare l’orto sinergico! La Permacultura è un sistema di progettazione. E ora mi chiederai, ma che cavolo è un sistema di progettazione? Hai presente l’architetto che studia anni e anni su come progettare una casa che non cada? Ecco, in Permacultura si studia come progettare degli ecosistemi - in cui l’uomo è un partecipante alla pari - che siano resilienti e che quindi riescano a prosperare (sopravvivere e riprodursi). E chi è la nostra maestra? La Natura. Chi meglio di lei sa come fare in modo che tutto si evolva e prosperi?
Quindi grazie all’osservazione della Natura si impara come funzionano i suoi sistemi e le leggi che li regolano. Quando si imparano si può provare a metterli in atto. Dopo l’azione si aspetta il feedback, ci rimettiamo in osservazione e in ascolto ed in base al feedback evolviamo e cambiamo.
Quando ho imparato a progettare in Permacultura sono riuscita finalmente a trovare la risposta alle fatidiche domande che da sempre mi pongo: come faccio, da essere umano, a non avere un impatto negativo su questo Pianeta? Come faccio a creare delle relazioni tra me stessa e gli altri esseri viventi (umani, animali, piante, microrganismi, ecc.) che siano di simbiosi, scambio e positive?
Però qualcosa, dopo il corso di Permacultura, ancora mi mancava. Va bene la progettazione, ma quali sono le tecniche che si possono mettere in atto per far stare in piedi questo ecosistema? Perché alla fine per far stare in piedi una casa, di metodi ce ne sono tanti e ce ne sono tanti per ogni componente della casa (il tetto, la struttura, le fondamenta, gli infissi, ecc.).
La parte che più mi premeva e, allo stesso tempo, mi appassionava era conoscere meglio i sistemi agricoli che possano avere un impatto positivo sull’ecosistema, inclusa la comunità. L’agricoltura è il grande fardello di questo mondo, è tra le prime cause dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento del terreno, delle falde acquifere e dell’aria che respiriamo. È inoltre complice della perdita di biodiversità, deforestazione, erosione del suolo e chi più ne ha più ne metta. Una merda alla fine. Eppure, le soluzioni, almeno quelle che avevo studiato all’Università, erano tutte basate sul creare un nuovo problema e non di eradicarlo alla radice.
Nei terreni dove si fanno coltivazioni intensive di mele abbiamo il suolo stanco? Allora è necessario trovare un nuovo prodotto chimico che ci possa aiutare. Si estirpano tutte le piante, si lascia riposare il suolo per due anni e poi si ricostruisce lo stesso impianto intensivo.
Non ci sono più le api per impollinare ettari ed ettari di monocoltura di mandorle? E’ necessario creare degli appositi droni che ci aiutino nell’impollinazione delle piante.
Gli animali da allevamento si ammalano perché sono raggruppati in strutture dove camminano sulle proprie deiezioni tutto il santo giorno? Diamogli gli antibiotici.
Mi sono sempre chiesta come fosse possibile che i miei professori universitari si impegnassero più a trovare soluzioni temporanee e non efficaci, invece di dire basta, nelle loro ricerche, all’uso di pesticidi. Perché non studiavano nuovi modi di progettare i frutteti che non provocassero la stanchezza del suolo? Non ricercavano dei sistemi di allevamento all’aperto che oltre a ridurre l’impatto delle malattie sul bestiame andassero anche a rigenerare il pascolo?
Quando gli ponevo questi quesiti, estraevano la carta “ma Adelaide, la popolazione mondiale sta aumentando vertiginosamente, come faremo a sfamare tutte quelle bocche?”. Quando per me la risposta più di buonsenso era semplicemente nello smettere di sprecare tutto il cibo che produciamo e sicuramente già lì saremmo un bel pezzo avanti nel risolvere il problema.
Ecco che quindi intraprendo il mio secondo corso di Permacultura, in Svezia a Ridgedale Permaculture. Un corso incentrato sull’agricoltura rigenerativa e le varie tecniche e sistemi agricoli improntati alla rigenerazione degli ecosistemi.
Ecco che è arrivato il momento di definire l’agricoltura rigenerativa. Se andate su internet ne troverete tante di definizioni e visioni, quasi tutte partite dalla bocca o dalle mani di uomini bianchi nord americani sulla quarantina/cinquantina. Ed ecco perché sono un po’ restia a dare a questo concetto una definizione cercata su internet quando invece il senso di agricoltura rigenerativa si basa su tradizioni, conoscenze e connessioni indigene, spesso ormai estirpate a causa della colonizzazione.
Però posso dirti il mio sentire. Quando si parla di agricoltura rigenerativa si parla di sistemi agricoli diversi (tanto diversi quanto i territori che esistono su questo pianeta) che sono improntati alla rigenerazione dell’ecosistema e non allo sfruttamento o all’impatto zero. La rigenerazione è un processo che porta un impatto positivo, non negativo e neppure zero.
La sostenibilità è basata sull’impatto zero. La rigenerazione è basata su l’impatto positivo. Se un terreno con l’agricoltura intensiva e convenzionale ha perso negli ultimi 50 anni il 5% di sostanza organica, vorrà dire che facendo agricoltura rigenerativa non solo devo ritornare a riacquistare quel 5% ma puntare all’8% di sostanza organica, a riportare degli uccelli in via d’estinzione nel mio territorio su quel terreno, a fermare l’acqua delle precipitazioni che altrimenti eroderebbero il suolo, a riportare la comunità di persone in cui vivo a gioire dei frutti di quel terreno e così via.
I sistemi agricoli rigenerativi sono stati tutti progettati e realizzati studiando, osservando ed ascoltando la Natura. Fondamentale principio della progettazione in Permacultura. Quindi se si ha una terra da coltivare, per non creare una mera terra produttiva di frutti, possiamo utilizzare la progettazione in Permacultura. Otterremo una terra dove si coltivano relazioni, connessioni con la Natura, dove si crea uno strato fertile per tutte le comunità viventi e i sistemi agricoli rigenerativi ci verranno in aiuto per fare in modo di implementare una buona progettazione.
Finalmente arriviamo all’apicoltura rigenerativa. C’è poco e niente sul grande world wide web a definire veramente che cosa sia l’apicoltura rigenerativa. Però qualcosa di simile in cui mi trovo molto affine è la Darwian Beekeeping di Tom Seeley. → Darwinian Beekeeping by Tom Seeley
A causa di tutti i problemi che le api mellifere stanno affrontando non riusciamo a capire se questo insetto in natura si è estinto o se è in via d’estinzione [link al nostro articolo: [Perché le api stanno morendo. → Ecco cosa accade davvero → IUCN Red List of Threatened Species]
Ecco perché un tipo di apicoltura improntato sulla rigenerazione e la salvaguardia di popolazioni di Apis mellifera allo stato selvatico è sempre più urgente.
Prima di tutto c’è quindi bisogno di andare a studiare come vivono in natura le popolazioni di Apis mellifera. E per fortuna su questo si sa già molto, soprattutto grazie agli studi di Tom Seeley nella Foresta di Arnot. Sappiamo quali sono le strategie di sopravvivenza che, evolvendosi, hanno sviluppato le api: l’abbondanza e la diversità genetica. Per cui, da apicoltori, dobbiamo assolutamente fare in modo che queste due strategie siano rispettate. Solo così le colonie possono poi adempiere al loro obiettivo di sopravvivere e riprodursi nell’ambiente. L’esempio più lampante è la riproduzione, nelle api da miele, delle regine lontano dal proprio alveare, in volo e con molti fuchi. Se facciamo l’inseminazione artificiale della regina, come possiamo poi rispettare la strategia della diversità genetica di cui tanto ha bisogno la famiglia per sopravvivere? Se portiamo in giro, in lungo e in largo, sottospecie di api non adattate al luogo che poi si vanno ad accoppiare con altre sottospecie, come possiamo pensare di mantenere a livello genetico l’adattabilità ad un territorio al suo clima, i suoi virus e patogeni? Se non permettiamo alle api di sciamare, come pensiamo che loro possano trasmettere la propria genetica ed evolversi? Se facciamo sopravvivere una famiglia che era destinata alla morte, come pensiamo di riuscire a mantenere nell’ambiente geni per la sopravvivenza e la rusticità? Se facciamo i trattamenti contro la Varroa, come pensiamo che un giorno ci sarà una popolazione di api allo stato selvatico che riescano a sopravvivere senza l’intervento dell’uomo? Ma allo stesso tempo la questione è molto più ampia. Se non doniamo alle api degli ecosistemi sani, che prosperano, ricchi di nettare e polline, ricchi di biodiversità, ricchi di acqua e microorganismi, come possiamo pensare che le nostre amate api possano essere in salute?
E, forse, questa è la parte più difficile da comprendere e digerire. Ogni componente dell’ecosistema è intrinsecamente legato all’altro. Non possiamo salvare le api e non pensare ai picchi. Non possiamo pensare ai picchi e non anche alla salute della fauna dei suoli. Non possiamo pensare alla salute del suolo se non pensiamo a come cambiare in positivo i nostri sistemi agricoli. Non possiamo cambiare i nostri sistemi agricoli se non ne parliamo tra di noi. Non possiamo progettare un cambiamento positivo e solido se prima non costruiamo nella nostra comunità delle relazioni sane. Non possiamo costruire delle buone relazioni se prima non guardiamo dentro ciascuno di noi e decidiamo di rigenerare prima di tutto la nostra mente, il nostro corpo e la nostra anima.
Ma quindi, Adelaide, cosa mi stai dicendo? Che da domani devo smettere di fare i trattamenti alla Varroa e far sciamare tutte le mie api?
No assolutamente no. Se vuoi fare apicoltura rigenerativa, prima di tutto devi cambiare qualcosa dentro di te. Devi capire chi sei e se sei in questo mondo per distruggerlo o per apportare un cambiamento positivo.
Poi parliamo di api.
Dal 1986 formiamo ogni anno centinaia di apicoltori/trici con un unico grande obiettivo: lavorare e vivere in libertà in mezzo alla natura salvaguardando la biodiversità e l'equilibrio del nostro pianeta attraverso l'apicoltura biologica e rigenerativa. Sia hobbisti che professionisti.
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