Perché le api stanno morendo. Ecco cosa accade davvero.

Ti sei mai chiesto/a perchè le api stanno morendo? Ecco cosa accade davvero. Il 2006 è l'anno in cui tutto il mondo si è accorto, per le catastrofiche morie di alveari che si sono susseguite in ogni parte del Globo, che le api sono in pericolo. Che le api stanno morendo. In quel momento l'umanità intera ha cominciato ad interrogarsi sulle conseguenze che questo evento, portato alle sue estreme conseguenze (l'estinzione delle api, da miele e non), può arrecare alla sopravvivenza della nostra stessa specie. La funzione dell’ape è così importante per l'impollinazione delle piante sia di interesse agricolo che forestale che la sua scomparsa provocherebbe la distruzione di vitale biodiversità e delle carestie di portata biblica.

Ma già nel 1998 una mortalità fuori del comune fu denunciata da alcuni apicoltori spagnoli e, a seguire, da quelli francesi. I primi davano la responsabilità ad un fungo originario dell'estremo oriente (il Nosema ceranae) che avrebbe cambiato ospite, e i secondi ad una classe di insetticidi (i neonicotinoidi) di nuova introduzione come concianti dei semi di alcune piante visitate dalle api. Il 2006 è, invece, l'anno in cui il problema diventò di interesse planetario ottenendo una forte risonanza mediatica: erano stati coinvolti dalla moria anche gli Stati Uniti e le gravi perdite di alveari (intorno al 70%) stavano mettendo a repentaglio la produzione delle mandorle. È bene qui ricordare che gli Stati Uniti sono il maggior produttore di mandorle al mondo con l'80% della produzione mondiale. In questo caso i ricercatori hanno orientatola loro attenzione verso un virus di nuova scoperta: il virus israeliano della paralisi acuta. E in Italia? 

La mortalità degli alveari non ha risparmiato il nostro paese e sono stati gli apicoltori sardi a registrare le prime perdite, probabilmente dovute al Nosema.

La sindrome si è poi trasferita velocemente in Toscana e nel Nord Italia dove ai danni provocati dalla Varroa e Nosema si è unita anche una recrudescenza di peste europea.

A tutt'oggi non ci sono ancora delle chiare evidenze scientifiche sulle cause che inducono la sindrome da spopolamento della colonia o colony collapse disorder (per maggiori informazioni leggi qui: https://www.epa.gov/pollinator-protection/colony-collapse-disorder) come è universalmente chiamata la mortalità generalizzata che sta avvenendo in ogni parte del mondo cosiddetto occidentale. Certamente non sbagliamo se la definiamo una malattia multifattoriale in cui la varroa gioca un ruolo fondamentale: visto che ormai è presente praticamente in tutti gli alveari e sta diventando sempre più virulenta. Ad essa si sono associati nuovi patogeni, certamente i virus (soprattutto quello delle ali deformi) e spesso anche al Nosema ceranae, che hanno raggiunto ogni angolo del mondo occidentale, grazie alla movimentazione delle api (soprattutto api regine). Il Nosema ceranae come fa intendere il nome della specie, è originario della Cina e più in generale dell’estremo Oriente. Poi si è trasferito in ogni parte del mondo e quindi anche in Europa, grazie al commercio delle api. Una regina, con una decina di api accompagnatrici, mantenute in un’apposita gabbietta da trasporto, poco più grande di una scatola di fiammiferi, può sopravvivere giorni e giorni e percorrere migliaia di chilometri in un giorno per via aerea. Ed è più che probabile che in questo viaggio possa portarsi dietro dei parassiti che non si riescono a diagnosticare senza sofisticate analisi. Purtroppo molti apicoltori intendono l’animale che allevano come fosse domestico, come se non sapessero che ogni colonia soprintende a 28 km2 di territorio, interagendo in maniera profonda con tutti gli alveari che condividono lo stesso areale. I paesi da cui partono grandi quantità di regine alla volta dell’Europa, oltre alla Cina (che commercializza le sue regine portatrici di una genetica capace di grandi produzioni di pappa reale) sono molti tra cui anche Argentina e iCile (per via del fatto che hanno l’inversione delle stagioni e possono vendere regine in Europa molto precocemente). 

In questa situazione già particolarmente difficile per la nostra ape, si vanno ad aggiungere le gravi mortalità per l’uso sempre più massiccio di pesticidi. Anche il cambiamento climatico ha la sua grave responsabilità. Intanto perché si sta rompendo il millenario armonioso equilibrio tra il susseguirsi delle fioriture e lo sviluppo delle colonie di api. Poi, e questo è forse ancora più grave, per l’avvicendarsi di eventi atmosferici estremi. Piogge prolungate per settimane e settimane, freddo intenso e ghiacciate in prossimità delle fioriture più importanti, siccità prolungate, ecc.

Per provare a capire se il futuro è solamente carico di incognite o se esiste almeno uno spiraglio di speranza di poter osservare un’inversione di tendenza, dobbiamo di approfondire questi argomenti. 

Perché le api sono in pericolo: la varroa

La varroa è ufficialmente è entrata in Italia nel 1981 e ha creato un’infinità di problemi fin dal suo arrivo. Via via, però, sta diventando sempre più aggressiva e pericolosa. 

Questo dipende dal fatto che gli apicoltori, per vari motivi e non tutti riconducibili a loro responsabilità, hanno praticano un tipo di lotta al parassita (che potremmo chiamare a tolleranza zero) che ha comportato una sorta di selezione al contrario. Se nei primi anni dall'infestazione i trattamenti potevano essere eseguiti in ottobre, col passare degli anni, si è reso necessario, per non perdere gli alveari, anticiparli fino ad arrivare all'inizio di agosto, termine entro il quale quasi tutti gli apicoltori tolgono i melari per estrarre il miele. Una ulteriore anticipazione non è possibile, almeno con i mezzi di contenimento momentaneamente a nostra disposizione, per non rischiare di inquinare il miele. E allora si è arrivati a mettere in atto pratiche ausiliarie come l’ingabbiamento della regina.

Questa selezione, per così dire, inversa si è avuta perché l'acaro si riproduce all'interno della covata delle api e lì non può essere colpito perché riparato dall'opercolo che protegge la metamorfosi della larva. Allora gli apicoltori cercano di abbatterlo nel momento in cui si trova, tra una riproduzione e l'altra, sulle api adulte (cosiddetta fase foretica). Reiterando negli anni questo tipo di comportamento si sono avvantaggiate le varroe che dopo il ciclo di sviluppo, si introducono velocemente all'interno di altre celle di covata delle api che sono diventate, quindi, difficilmente raggiungibili dal principio attivo. Insomma, l'uso degli acaricidi ha prodotto, per questo e anche per altri motivi, varroe sempre più distruttive. Per fortuna il blocco della covata che si ottiene ingabbiando la regina, aggira questo inconveniente non selezionando acari che amano una fase foretica corta. 

Inoltre la varroa ha sterminato tutte le colonie che vivevano nei boschi in maniera selvatica e quindi è venuto a mancare il patrimonio genetico di rusticità che andava a mitigare gli effetti della selezione spinta praticata dagli apicoltori. 

E come se questo non bastasse, come è oramai stato ampiamente dimostrato, la varroa porta con se una serie di virus che inietta col suo apparato boccale quando si nutre dell'emolinfa delle api. Il più evidente è il virus delle ali deformi, ma sembra che ultimamente si stia sviluppando un altro virus, denominato Virus israeliano della paralisi acuta. Prima dell'arrivo della varroa, la questione dei virus era pressappoco sconosciuta (solo un virus creava qualche rarissimo problema, ovvero il virus della covata a sacco). Oggi, invece, danno agli apicoltori più che qualche grattacapo. 

I nuovi parassiti.

Ma le api non sono in pericolo solo a causa della Varroa. In questa situazione non certo rosea, un altro parassita ha rapito l'attenzione dei ricercatori in quanto le sue spore vengono trovate nella quasi totalità degli intestini delle api colpite dal Colony collapse disorder.

È un fungo e il suo nome è Nosema ceranae. Prima del 1998 non era mai stato diagnosticato nelle api europee e l'unico esponente conosciuto dello stesso genere che si rinveniva negli intestini delle api adulte era il Nosema apis che crea qualche problema solo agli alveari deboli o se allevati in montagna quando, per un inverno lungo o perché disposte nel versante nord, non riescono ad uscire frequentemente a defecare. Tra le ipotesi del modo in cui il Nosema ceranae – che come dice il suo stesso nome, è il parassita dell'Apis ceranae, ape dell'estremo oriente – ha raggiunto l'Europa e quindi le Americhe vi è l'acquisto di regine di provenienza cinese che i produttori europei hanno effettuato per aumentare la produzione di pappa reale. I primi danni certificati il Nosema ceranae li ha prodotti in Spagna dove la locale apicoltura è stata messa letteralmente in ginocchio e solo recentemente si sta rialzando a fatica. I ricercatori spagnoli sono quelli che attribuiscono al Nosema ceranae tutta la responsabilità delle grandi mortalità, ma probabilmente esagerano.

Un altro parassita che si è diffuso a dismisura grazie alle movimentazioni di api è il Virus delle ali deformi. In questo articolo apparso sul nostro blog potrai trovare ulteriori informazioni. Puoi leggere l'articolo a questo link →

Le api stanno morendo anche per l’inquinamento ambientale.

Le api sono insetti che vivono per lo più le nostre campagne. È quanto meno ovvio che se gli agricoltori vi riversano chili e chili di insetticidi questi possano andare a colpirle e, quindi, ucciderle (https://www.nature.com/articles/s42003-021-02336-2.epdf?sharing_token=BBTajNd6Vu6E3wgADQsHENRgN0jAjWel9jnR3ZoTv0N4yDop_1E9uwD009LyTaCclup3296xpaa89mIY9t5HQvvUf6CfxVglnQHzGpmzbGdbHcD8af7YBgIRHAeqcN-9mWkBRixQhjJx_xB1fTMz8vAcBRr63cLhhxhbZl7Crdc%3D). 

Fino a qualche anno fa era una classe di insetticidi a preoccupare più di tutti: i neonicotinoidi. Per fortuna la Commissione europea ne ha fortemente limitato l’uso proprio per la sua tossicità verso le api. Tuttavia le nuove molecole che li hanno sostituiti non sono meno preoccupanti. È chiaro che solo un maggior ricorso all’agricoltura biologica o rigenerativa può riuscire a ribaltare la tendenza. Ma a preoccupare non sono solo gli insetticidi. Questi sono dannosissimi ma spesso uccidendo le api prima che tornino nel proprio alveare, almeno non lo contaminano. Gli anticrittogamici, avendo una tossicità acuta verso gli insetti più bassa, uccidono meno istantaneamente ma possono andare a inquinare l’ambiente alveare con danni anche in questo caso piuttosto gravi. 

Poi non dobbiamo dimenticare gli erbicidi che oltre al loro effetto diretto, ne hanno anche uno indiretto forse ancora più grave: vanno a distruggere dei possibili pascoli per le api ed ad inquinare quelli adiacenti alle coltivazioni. 

Insomma, da qualsiasi punto di vista li si osservi, i pesticidi possono avere per le api degli effetti catastrofici. 

Perché le api stanno morendo: gli apicoltori.

Se le api sono in pericolo lo si deve, almeno in parte, anche agli apicoltori, almeno quelli meno avveduti. Intanto, per quello che abbiamo già detto: il trasporto di api ha diffuso molte malattie che originariamente erano confinate in areali molto più ristretti. La Varroa è senza dubbio il maggior pericolo per le api e per l’apicoltura ed è quello che procura i maggiori danni, anche economici.

Poi c’è qualcuno di loro che preferisce utilizzare dei principi attivi per tenere a bada la Varroa che sono sì efficaci ma alla lunga troppo tossici. I principi attivi di sintesi sono quasi tutti molto liposolubili e si fissano nella cera creando un ambiente poco vivibile alle api. Se pensi che il favo è la culla delle giovani api e che questo può avere dei residui anche molto alti di esteri fosforici o di piretroidi, è evidente come questo stato di cose non agevola certo la loro salute. 

Inoltre, esattamente come in ogni tipo di allevamento, anche gli apicoltori si sono fatti abbagliare dalle possibilità della selezione per rendere le api sempre più produttive. Basta dire che in Italia, patria dell'ape – la Ligustica – che è universalmente considerata la migliore al mondo in quanto a produttività, si sono importate regine di sottospecie diverse, come la carnica, per la sua docilità, o altre con le quali hanno realizzato degli ibridi. Gli ibridi devono la loro produttività al fenomeno dell’eterosi che però non è stabile e quindi non è possibile mantenere nelle generazioni successive. Gli apicoltori che li adoperano devono sostituire spesso le regine e, comunque, inquinano geneticamente gli areali dove sono adoperati per via che le api si accoppiano in volo con i fuchi che provengono da tutti gli alveari circostanti.

Inoltre, allevare solo i ceppi più produttivi, rende un cattivo servizio al mantenimento della biodiversità che l’ape ama più di ogni altra cosa. Basti dire che ogni regina si accoppia con una quindicina di fuchi. Già nell’alveare si manifesta una elevatissima biodiversità. 

Le api stanno morendo: il cambiamento climatico 

Le temperature e le precipitazioni anomale per la stagione (freddo intenso e ghiacciate a primavera avanzata e prolungata siccità in estate, vento impetuoso, grandinate, ecc.) vanno ad innestarsi in una situazione già sufficientemente compromessa. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/gcb.15485

Oramai l’inverno non è più freddo come quelli del recente passato. Le piante cominciano la ripresa vegetativa in anticipo e quando all’inizio della primavera arrivano le gelate, queste procurano molti più danni. Ma anche le api anticipano la loro ripresa con non pochi problemi. Infatti, in inverno tendono a bloccare la covata e la varroa, in tali condizioni, riduce la sua fecondità. Però se le regine anticipano l’inizio della loro deposizione, i terribili acari – riproducendosi all'interno della covata – hanno modo di fare un maggior numero di cicli di sviluppo e questo è un ulteriore motivo per il quale ad agosto gli apicoltori contano già troppe varroe rispetto a tempi addietro. 

A questo va aggiunto che i cambiamenti climatici, così repentini degli ultimi tempi, non permettono agli esseri viventi di abituarsi e così anche le api perdono la sincronia con le fioriture che spesso sono anticipate rispetto a quello che esse si attenderebbero.

 

Spesso intendiamo le api come degli esseri molto delicati e fragili. Invece sono di una forza e resilienza incredibile. Se malgrado questo siamo riusciti a portarle sull’orlo della rovina è solo perché l’abbiamo circondata di pericoli: l’ambiente esterno con sempre più molecole inquinanti e sempre meno cibo e quell’interno, l’alveare, continuamente sotto assedio. Se vogliamo salvaguardarla non abbiamo che una strada maestra: è quella che porta verso la conversione ad un tipo di una agricoltura che non usi veleni, una drastica diminuzione dei gas serra e la consapevolezza di doverla allevare con più amore. Ognuno in questo dovrà fare la propria parte.  

 

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