Le qualità del miele: ovvero l’arte di saperlo produrre. In fatto di miele, le api conoscono tutto ciò che è necessario sapere per realizzarlo al meglio senza alcun difetto. Difficilmente possiamo addebitare a loro la responsabilità di una produzione qualitativamente non soddisfacente. Ciò accade solo se dovessero raccogliere del nettare o della melata non graditi al nostro palato (ma al loro si, evidentemente) o quando, per eventi atmosferici estremi, ad esempio piogge prolungate durante il raccolto, il miele rischia di avere una umidità alta e altrettanto alta probabilità di fermentazione (comunque nel vasetto, non all’interno dell’alveare).
Se il miele non corrisponde ai migliori criteri di qualità la responsabilità è, allora, da addebitare ad un errore umano: perché ha inquinato l’ambiente, perché, malgrado ciò, in questo ambiente degradato un apicoltore vi ha posto degli alveari, perché nella cura degli alveari le ha eccessivamente alimentate o ha tenuto a bada le malattie con medicine non adeguate. Beh si anche le api si ammalano ma è sempre l’uomo che ci ha messo lo zampino, ma di questo ne parleremo in uno dei prossimi articoli) (https://www.izs.it/BENV_NEW/Engine/RAServePG.php/P/376810010500/M/250610040605/T/Malattie-delle-API). Più in generale possiamo dire che, nei vari passaggi che portano il miele dall’alveare, all’interno del favo di cera, al vasetto, non ha tenuto nella dovuta considerazione, le caratteristiche chimico fisiche del prodotto. Anche il consumatore finale può rovinare un miele di qualità qualora non ne conosca le caratteristiche.
Definire la qualità di un prodotto è molto difficile, se non impossibile. Ci hai mai provato? (https://fabiomolinini.wordpress.com/2016/10/27/i-3-passi-per-capire-il-concetto-di-qualita-e-la-sua-evoluzione-nel-tempo/) Per me il miele di qualità potrebbe avere delle caratteristiche completamente diverse da quelle che tu, che mi stai leggendo, desidereresti. Soltanto di un tipo di qualità siamo tutti d’accordo, le qualità intrinseche, ovvero quelle dettate dalla legge. Tenore di acqua 20%, Hmf (idrossimetilfurfurale, il parametro che evidenzia quanto il miele sia stato maltrattato) 40 mg/kg, unità diastasiche (gli enzimi) maggiore di 8 e così via… Ma in questi parametri ci sta tutto, anche i mieli borderline, quelli esteri che tu ed io non vorremmo mai acquistare. E allora siamo d’accordo sì, ma solo che la qualità intrinseca non ci basta. Non ci è sufficiente un concetto di qualità che abbraccia anche i mieli vecchi, maltrattati e magari ottenuti con pratiche discutibili.
E allora, quando parlo di qualità, a cosa mi riferisco? Personalmente trovo che la definizione che meglio chiarisca il concetto pur con i suoi limiti è: Il miele di qualità è quello che conserva fino al momento del consumo quelle caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche che gli erano proprie al momento del raccolto. Ovvero alle api non dobbiamo insegnare proprio nulla e, anzi, dobbiamo fare di tutto per mantenere integro il loro lavoro. Non c’è un solo passaggio tecnologico che possa solo minimamente migliorare le qualità del miele, se non quelle di servizio. Ovvero la facilità di fruizione del prodotto da parte del consumatore.
Non so se hai mai mangiato il miele in favo. Se non ti è mai capitato, ti consiglio vivamente di provare. Solo se hai già avuto questa esperienza mi puoi capire fino in fondo. Quindi se sei un apicoltore il mio consiglio è davvero semplice. Estrai il miele dal favo in tempi rapidissimi (meglio se lo stesso giorno in cui li hai prelevati dall’alveare) e invasettalo il più presto possibile con l’accortezza di filtrarlo bene (per evitare che vi siano delle impurità) e aspetta che tutta l’aria che si è formata a seguito della centrifugazione venga a galla. Altrimenti si forma sulla superficie del miele nel vasetto dell’antiestetica schiuma bianca.
E tu consumatore? Prendendo dallo scaffale di un supermercato o anche dal banchino di un apicoltore un vasetto in mano invece, le cose diventano un tantino più complesse. Intanto è difficile capire se sono stati rispettati i criteri di salubrità ambientale. Qui c’è poco da fare: o si conosce molto bene l’apicoltore oppure bisogna affidarsi alla certificazione biologica. Non dico che sia rischioso acquistare del miele convenzionale, almeno non più di un qualsiasi altro alimento. Gli apicoltori italiani sono nella maggioranza dei casi dei bravi produttori ma nessuno di loro, se non certificato, subisce dei controlli su dove colloca i suoi alveari e sulle cure che dispensa alle sue colonie. Nel bio tutti questi passaggi sono verificati da un ispettore inviato dall’organismo di controllo. E per il resto?
Il biologico dà una certa garanzia sull’ambiente dove sono collocati gli alveari, perché l’Organismo di controllo vuol vedere tutti i luoghi dove bottinano le api e sulle medicine utilizzate dall’apicoltore, perché periodicamente analizza la cera dei favi del nido. Poi sul fatto che non acquisti da terzi il miele che vende. In questo caso perché conosce il numero degli alveari allevati, il miele prodotto e può confrontare i dati con le medie di altri apicoltori che operano nello stesso luogo. Sa poco o nulla, invece, di ciò che subisce il miele a seguito del prelievo dei favi.
Quindi abbiamo detto che il miele le api lo sanno fare bene e allora finché il miele è all’interno dell’alveare rischi, oltre quelli già citati, non ce ne sono. Cominciano al momento del prelievo dei favi. Qualora non sia sufficientemente maturo, il miele potrebbe in seguito fermentare. È quindi importante controllare il suo tenore in acqua prima dell’estrazione che dovrebbe essere eseguita solo se è inferiore al 18%. C’è uno strumento che costa poche decine di euro che può essere utilizzato a questo scopo: il mielometro o rifrattometro per il miele. In realtà l’apicoltore potrebbe finire la deumidificazione del miele in laboratorio ma la legge vieta che lo possa estrarre agli alveari se l’umidità è superiore - tranne rare eccezioni - al 20%. Ma sono passaggi tecnologici costosi che è meglio evitare. Solo nel caso della raccolta di pregiati mieli monofloreali (come ad esempio l’acacia) è conveniente estrarre dell’acqua ma se fatto prima della centrifugazione.
So già cosa vuoi chiedermi… È possibile accorgersi in tempo se il miele che sto acquistando ha un tenore di acqua troppo elevato e potrebbe fermentare? Diciamo che è difficile che accada perché il sistema per verificarlo è semplice e poco costoso. Tuttavia non voglio sottrarmi. Se il miele è liquido la valutazione è più semplice perché quando l’umidità è superiore al 18% diventa poco viscoso e capovolgendo il vasetto scorre molto velocemente da una parte all’altra. Se cristallizzato è più difficile e dovrebbe almeno essere assaggiato perché i mieli umidi sono solubilizzati velocemente dalla saliva e al palato sono più sfuggenti.
Questo è un problema serio, forse il più grave che può capitare naturalmente al miele. Ovviamente non paragonabile ad un miele ottenuto artificialmente o con residui di sostanze estranee perché mangiare un cucchiaino di miele fermentato (che tuttavia non è possibile vendere) non arreca alcun danno alla salute. Mi ripeto: è difficile trovare in commercio un miele umido e addirittura fermentato. È comunque possibile accorgersene perché al suo interno sono presenti delle micro bolle di anidride carbonica che può addirittura bombare il coperchio che quando lo apri, sfiata. Assaggiandolo ti accorgerai che ha assunto un odore e aroma fruttato, vinoso, alcolico e anche un po’ acido. Il miele fermentato può essere utilizzato in cucina e non assunto direttamente. Il processo è irreversibile per cui tale è e tale rimarrà, anzi, se tenuto a temperatura ambiente peggiorerà. La fermentazione può avvenire solo se il miele è stato confezionato umido in quanto l’acqua favorisce l’attività dei lieviti, che sviluppando producono etanolo, anidride carbonica e acidi organici.
Nei locali di smielatura il nemico numero uno per il miele è l’alta temperatura. E allora, affinché il miele si deteriori il meno possibile è necessario lavorarlo preferibilmente a temperatura ambiente. Questo è alla portata di mano unicamente degli apicoltori che operano in maniera artigianale. Infatti il miele ha due caratteristiche fondamentali: come già accennato, l’alta viscosità a temperatura ambiente e poi la tendenza a cristallizzare.
Ciò mal si adatta alle lavorazioni industriali. Il miele all’ingrosso viaggia in contenitori da 300 kg ed è necessario tirarlo fuori per lavorarlo. Ma il miele è un cattivo conduttore di calore e per renderlo liquido (necessario anche per filtrarlo) e affinché scorra velocemente è necessario portalo per un lungo periodo a temperature comprese tra i 40 e i 50°C. In aggiunta a questo, alcuni mieli industriali, che non di rado sono anche importati da lunghe distanze (Cina, Argentina, Brasile, Messico) spesso e volentieri sono anche pastorizzati. Ciò perché nel paese d’origine l’apicoltore difficilmente ha una attenzione per le norme igieniche simile alla nostra e, per di più, il suo prodotto gli viene pagato pochi spiccioli cosicché deve pensare a produrre di più e non a curare la qualità e spesso lo smiela umido. La pastorizzazione ha il duplice compito di fermare la sua possibile degradazione e renderlo artificialmente liquido per lungo tempo. Questo lo avvicina, ma solo esteticamente, al miele d’acacia che, però, oltre ad avere qualità organolettiche decisamente superiori rimane liquido per la sua alta percentuale di fruttosio.
So già che vuoi farmi un’altra domanda… È possibile riconoscere un miele industriale da uno lavorato in modo artigianale?
Anche in questo caso la risposta non può essere definitiva, tuttavia una buona idea puoi fartela. Intanto tutto il miele cristallizza, come abbiamo visto nell’articolo dedicato a questa caratteristica, tranne acacia, castagno e pochi altri. Quindi trovare nel vasetto un miele liquido (soprattutto se è perfettamente liquido e non torbido, ovvero in via di cristallizzazione) in un periodo che va da ottobre ad aprile ti deve far riflettere. Come anche una cristallizzazione non omogenea perché può essere figlia di un riscaldamento eccessivo seguito da una successiva re-cristallizzazione (che avverrà quasi sempre in maniera grossolana). O, se nel vasetto, il miele risulta diviso in due fasi, una solida nella parte bassa ed una liquida superiormente. In questo caso siamo in presenza di un miele piuttosto maltrattato o vecchio. Questa non è mai una cristallizzazione in divenire (che, come abbiamo visto in un precedente articolo, interessa contemporaneamente tutta la massa del miele), ma una degradazione della cristallizzazione. Ricordi che ti ho detto che devi considerare la cristallizzazione alla stregua di un tessuto che in gioventù è forte, capace di incastonare al suo interno le molecole di acqua e con la vecchiaia si lide diventando più cedevole? Ecco, invecchiando gli zuccheri si trasformano, diventano più solubili e l’acqua interagisce con loro con più facilità (ti consiglio la lettura della guida alla cristallizzazione: https://www.bioapi.it/in-evidenza/32-il-miele-ecco-perche-si-indurisce-e-cristallizza-la-guida).
Quindi, i mieli industriali, essendo più maltrattati di quelli artigianali, hanno una vita più corta e spesso si trovano in questa situazione già in vendita sullo scaffale. Se hanno una cristallizzazione non omogenea, evitali.
Voglio ora parlarti di un difetto puramente estetico ma che allarma molto il consumatore perché, se ignaro, può pensare che l’apicoltore abbia aggiunto dello zucchero al miele: sto parlando delle marezzature biancastre che si formano nella massa di miele a contatto con il vetro. In gergo si chiamano macchie di retrazione e si hanno quando, durante l’ultima parte della cristallizzazione, il miele si retrae a causa dei legami chimici che si formano tra le molecole di zucchero. Si formano perché il glucosio, a contatto con l’aria che si è formata tra il vetro del vasetto e il miele che si è ritirato, diventa bianco. Quando apri la capsula potrai osservare le stesse macchie sulla superficie del miele. Pensa che, addirittura, potresti prendere questo piccolo difetto come la certezza che stai acquistando del miele artigianale ovvero che è stato estratto dai favi e poi invasettato, senza alcun’altra operazione. Non so se dirtelo, ma qualche volta, malgrado l’impegno ad impedirlo, capita anche a me e per evitare che il consumatore se possa accorgere, piazzo l’etichetta proprio sopra la marezzatura. Un espediente necessario quando non è possibile spiegare direttamente al cliente del perché può capitare.
Altra domanda che so vorresti farmi: è vero che col calore si perdono tutti gli enzimi e il miele perde tutte le sue qualità?
Con l’uso del calore gli enzimi sicuramente diminuiscono ma non credo che questo sia il danno maggiore, che, a mio avviso è la diminuzione delle qualità sensoriali. Infatti gli aromi più fragranti, quelli che arricchiscono il miele appena raccolto e ancor di più quello mangiato ancora nei favi (spettacolo puro!) sono dovuti alle molecole con basso peso molecolare Non c’è nulla di peggiore per il miele che essere costretto a lunghi viaggi e soste ai porti dove l’alternarsi tra alte e basse temperature è la regola più che l’eccezione. Di come si deve presentare correttamente un miele (è soprattutto la cristallizzazione che è possibile valutare in un vasetto chiuso) abbiamo già detto in un precedente articolo →
Dal 1986 formiamo ogni anno centinaia di apicoltori/trici con un unico grande obiettivo: lavorare e vivere in libertà in mezzo alla natura salvaguardando la biodiversità e l'equilibrio del nostro pianeta attraverso l'apicoltura biologica e rigenerativa. Sia hobbisti che professionisti.
Iscrivendoti acconsenti al trattamento dei tuoi dati personali in conformità al D.Lgs 196/2003. Leggi la Privacy Policy . Niente spam la odiamo anche noi.
Del gruppo Bioapi Soc. Agr. s.s.
Via Maestri del Lavoro
Sansepolcro AR
P.IVA 02174970513
© 2020 All rights reserved.
Handmade with love by Hyphae