Idrossimetilfurfurale: la molecola che ti dice quanto il miele è vecchio. Nel miele c’è una particolare molecola, l’idorssimetilfurfurale meglio conosciuto come HMF, la cui quantificazione può svelare qualcosa della sua storia: se è vecchio o maltrattato ma anche altro. Si forma in ambiente acido per degradazione degli zuccheri, in particolare per l’ossidazione del fruttosio che, il più delle volte, è quello più presente. Praticamente assente nel miele appena estratto, l’HMF aumenta proporzionatamente con il suo invecchiamento e cresce molto rapidamente se è stato sottoposto a trattamenti termici con temperature elevate. È, quindi, un indice della sua freschezza. Il limite massimo è stato fissato dalla legge europea a 40 mg/kg.
In realtà ci sarebbe anche un’altra analisi che può misurare in laboratorio la qualità del miele ed è quella di un enzima: la diastasi. Il motivo per il quale sentirai sempre parlare di HMF è perché la sua presenza è legata in misura minore all’origine botanica del miele mentre la diastasi varia e anche molto da miele a miele. Inoltre è anche un tipo di analisi piuttosto economica e veloce. In questo articolo puoi leggere in maniera sintetica le varie analisi che prevede la legge e la loro importanza per la salute →
Si, ma non certo ai livelli in cui si trova nel miele, neppure se ha superato i limiti di legge. La sua nocività è valutata come "piuttosto bassa" soprattutto con livelli di assunzione nell'intervallo tra gli 80 e i 100 mg di HMF/kg al giorno. La dose letale (DL50) di Idrossimetilfurfurale per il ratto è stimata in 2500 mg/kg di peso corporeo. Però è importante fare la sua conoscenza perché è una molecola che puoi trovare in un sacco di altri alimenti di uso quotidiano dove, al contrario, potrebbe preoccupare di più. Vuoi degli esempi? Presto detto:
Latte sterilizzato e UHT, Mosto di uve concentrato e rettificato, Vini dolci e invecchiati, Birra soprattutto scura, Aceti vari, Succhi e concentrati di frutta pastorizzati, Carni conservate, Conserve vegetali, Caffè tostato e frutta disidratata (fino a 2900 mg / kg). Le prugne secche ne contengono fino a 2200 mg / kg.
Dato che l’HMF si forma per degradazione degli zuccheri e l’ambiente acido velocizza la trasformazione, le bevande gassate più comunemente usate - non starò qui a farne il nome tanto avrai capito - se assunte regolarmente sono quelle che apportano nella dieta una quantità di HMF neppure lontanamente paragonabile ad un cucchiaino di miele.
Ma, allora, perché il legislatore ha voluto porre per il miele dei limiti di presenza di questa molecola e non l’ha fatto per altri alimenti? Probabilmente perché ha voluto introdurre un parametro qualitativo per impedire che un miele estremamente vecchio e troppo lavorato potesse finire sulla tavola del consumatore. Non solo, anche in quello adulterato l’HMF tende ad aumentare velocemente e, quindi, ha cercato di evitare che un finto miele potesse finire sugli scaffali del negozio. Infatti in questi non miele prodotti con l’aggiunta zuccheri estranei (ricordi? Ti avevo detto in un recente articolo che al miele non può essere aggiunto nulla: https://www.bioapi.it/in-evidenza/31-il-miele-il-frutto-di-un-amore-che-continua-da-150-milioni-di-anni), hanno tutti un’HMF alto.
Ecco perché noi apicoltori che lavoriamo il miele in modo artigianale, consideriamo il limite di 40 mg/kg un valore troppo alto. Mi spiego meglio… Lasciamo da parte l’adulterazione, che ritengo sia un problema che riguarda maggiormente i mieli industriali, quindi quelli utilizzati come ingredienti di altri prodotti quali i biscotti e altri dolciumi, non certo quelli nei vasetti sullo scaffale del negozio. Un miele fresco e ben conservato solo difficilmente supererà 20mg/kg. Mi basta dirti che nei concorsi di qualità il limite massimo che può avere il miele, pena la sua esclusione dalla manifestazione è di 10 mg/kg. Ok, i concorsi si tengono a pochi mesi dal raccolto ma questo limite deve tener conto anche del fatto che il campione di prodotto per raggiungere la sede della manifestazione deve viaggiare spesso con i corrieri espressi che possono lasciare il furgone sotto il sole cocente per alcune ore.
Bah, non saprei. Non ho mai assaggiato l’Idrossimetilfurfurale e non credo di poter riconoscere la sua presenza nel miele. Però ti posso affermare che con un certo allenamento dei sensi un miele vecchio e maltrattato lo si può imparare a riconoscere. Le caratteristiche più evidenti riguardano la ricchezza in aromi e la fragranza. Ovvero la varietà negli aromi e poi anche la loro intensità. Invecchiando tutto si appiattisce e gli aromi più fragranti (quindi quelli floreali e di frutta fresca) tendono a virare verso la frutta trasformata e in quelli caldi del malto e del caramellato. Tra i sapori, non di rado, aumenta la sensazione acida. Ovviamente c’è da tener presente che un miele invecchiato molto aromatico - tipo il castagno, per intenderci - continuerà ad offrire una intensità sensoriale maggiore di uno poco aromatico - ad esempio acacia, sulla, trifoglio, ecc - e comunque fresco.
Nel miele è presto detto: sì. Per altri alimenti, invece, la risposta sarebbe molto meno netta. Ad esempio è uno dei componenti della reazione di Maillard che dona alla crosta del pane il suo meraviglioso aroma o alle carni cotte l’inconfondibile gusto. Se ti piace lo stile di birra denominato stout (per capirsi quello delle Guinness) devi sapere che il suo caratteristico aroma lo deve in parte proprio all’HMF. Stessa cosa dicasi per il caffè ed ogni altra bevanda o cibo tostato.
Tuttavia l’analisi della concentrazione di HMF a valle del processo produttivo degli alimenti è diventata da qualche tempo un’utile indicatore del suo malfunzionamento. Quindi non è tanto il fatto che sia tossico quanto che mostra un processo produttivo scadente.
Se tu che mi stai leggendo sei anche un apicoltore, devi valutare bene gli alimenti che acquisti qualora le tue colonie ne dovessero aver bisogno. Infatti i prodotti più a rischio sono gli sciroppi di mais ad alto contenuto di fruttosio (HFCS), nel quale i livelli di HMF possono superare i 20 mg/kg e poi aumentare durante lo stoccaggio.
Ricordi che ti ho detto che l’ambiente acido velocizza la degradazione degli zuccheri in HMF? Quindi non ti stupirà sapere che malgrado siano tenuti alla stessa temperatura di stoccaggio, alcuni tipi di miele possono rispondere in maniera diversa e differire nella concentrazione di HMF qualora abbiano un pH diverso.
Quindi i mieli naturalmente più acidi (ad esempio quello di lavanda, timo, sulla, erba medica, ecc) devono essere lavorati dall’apicoltore in maniera molto più delicata di quelli ad un pH più vicino alla neutralità come, ad esempio, tutte le melate e il miele di castagno.
Prove sperimentali hanno dimostrato che se il miele è conservato a temperatura inferiore a 25°C, l'evoluzione dell'HMF è lenta e il valore di 40mg/kg molto difficilmente sarà superato nei 18-24 mesi di solito consigliati per il suo termine minimo di conservazione. Sopra i 30°C, invece, i mieli si degradano più velocemente e lo fanno tanto più velocemente quanto più basso è il valore del pH e quindi alta la sua acidità.
In bibliografia si può leggere che nel miele, tenuto in un fusto da 300 kg per un periodo di 5 giorni all'interno di una camera termostatata alla temperatura di 48°C (ovvero ciò che succede ad un miele che subirà una lavorazione di tipo industriale), il tenore di HMF raddoppia, mentre anche solo abbassando la temperatura di 5°C il valore dell'HMF, nello stesso periodo di tempo, subisce un incremento inferiore di circa il 25%.
Ma ciò che succede al miele durante le fasi di lavorazione soprattutto quando queste hanno bisogno di mantenere temperature piuttosto alte (sopra i 40°C) sarà tema del prossimo articolo →
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