Scaldare il miele: chi lo lavora è meglio ne stia alla larga. Il miele è un prodotto viscoso e, in più, tende anche a cristallizzare. Queste sue caratteristiche rendono difficile la sua lavorazione. La viscosità rallenta il suo passaggio attraverso i macchinari di lavorazione e la cristallizzazione lo rende più simile ad un solido che non ad un liquido. Il miele cristallizzato non può proprio essere lavorato e quindi se è in questo stato va ripotato a quello liquido. Per lavorarlo non c’è altra soluzione che usare il calore.
Un apicoltore che opera in maniera artigianale e consapevole (e con questo intendo che si occupa di tutta la filiera in prima persona, dall’estrazione dal favo fino all’invasettamento in un lasso di tempo che non supera i 3/4 mesi) non ha problemi particolari. Le fasi di estrazione (sia essa centrifugazione - la più praticata in occidente - o la pressatura), il filtraggio, la decantazione, la miscelazione e l’invasettamento possono essere facilmente eseguite ad una temperatura compresa tra 25 e i 30°C. Nell’alveare il miele è già a questa temperatura e, inoltre, l’operazione di estrazione si esegue tra la primavera e l’estate, quando, senza alcun intervento esterno, anche nel laboratorio dell’apicoltore la si ha naturalmente. Solo per alcuni mieli ricchi di glucosio (colza, girasole, tarassaco, edera) che tendono a cristallizzare precocemente, può presentarsi un qualche inconveniente.
Quindi, la temperatura a cui lo mantiene la colonia di api aiuta la lavorazione del miele se viene manipolato velocemente dall'apicoltore, subito dopo averlo tolto dall'alveare. In questo aiutato dalla sua capacità di trattenere il calore. Il miele, infatti, è un ottimo coibente. Ottimo perché questa sua caratteristica aiuta la colonia a mantenere una temperatura costante durante la stagione fredda.
Se, al contrario, è lavorato quando la temperatura ambientale si abbassa oppure se chi vende il miele non è anche il produttore e quindi acquista il prodotto alcuni mesi dopo la sua estrazione (ed è quindi già cristallizzato) per forza di cose deve essere scaldato.
In ogni laboratorio di apicoltura c’è quindi una camera calda termostatata (che qualcuno chiama impropriamente forno) https://www.legaitaly.com/prodotti/trattamento-del-miele/camere-calde/camera-calda-grande-pareti-coibentate.359. Non è altro che una piccola area nella quale sono state innalzate delle pareti coibentate per avere una piccola stanza all’interno della quale è posto un generatore di calore (stufetta, caldaia o pompa di calore) al quale, attraverso un termostato, non è permesso di raggiungere temperature troppo alte.
È la cristallizzazione, che più di ogni altro parametro, spinge ad innalzare la temperatura di lavorazione. Anche in questo caso, la differenza la fa il grado di artigianalità dell’azienda che lo lavora. Un miele cristallizzato, ma non prodotto in azienda, ha bisogno di essere filtrato perché nessun industriale del miele si arrischierebbe mai ad immettere sul mercato del miele sporco. Per filtrare il miele e fare in modo che passi attraverso un filtro di maglia adeguata a trattenere qualsiasi impurità (3/400 micron) deve essere completamente fuso ed quindi è necessario portarlo tra i 45 e i 50°C e tenerlo a questa temperatura il tempo necessario, il che è dipendente dalla dimensione del contenitore.
Il miele, lo abbiamo detto, è un cattivo conduttore di calore. Se questa caratteristica è positiva per le api (mantiene costante la temperatura nell’alveare durante la stagione fredda) ed anche per l’apicoltore artigianale perché gli da tempo per estrarlo prima che si raffreddi troppo, una volta tolto dall’alveare, non è altrettanto vero per l’invasettatore industriale. La cosa migliore sarebbe introdurre la sonda di un termostato al centro del miele, perché il calore raggiungerà il cuore del contenitore molto lentamente e quindi è più importante conoscere la temperatura interna che quella esterna. Se il miele è in un contenitore di piccole dimensioni (diciamo 25 kg) basta tenerlo a circa 45°C per 24 ore per liquefarlo, se invece sta nel contenitore tipico delle vendite all’ingrosso (ovvero il fusto da 300 kg ovvero il barile), invece, il miele necessita di rimanere a circa 50°C per almeno 72 ore, ovvero 3 giorni. E questo, come abbiamo visto nell’episodio dedicato al contenuto di HMF, non è proprio il massimo. Articolo HMF →
Se, poi, il miele non necessita di essere completamente fuso, perché chi lo deve lavorare è anche il suo produttore ed è sicuro di averlo filtrato a dovere, per toglierlo dal contenitore ed invasettarlo, può scaldarlo a circa 40°C per 24 ore. Tutta un’altra cosa!
La poca precisione nell’indicare la temperatura di lavorazione che sto utilizzando per descrivere queste fasi di lavorazione dipende dal fatto che non tutti i mieli sono uguali. In questo caso è importante tenere conto del contenuto di glucosio perché più ce n’è e più il miele farà fatica a diventare malleabile e fondere completamente. Il contrario se il miele avrà molto fruttosio.
A questo punto credo tu abbia capito che il calore può sì aiutare a lavorare del miele ma l’uso esagerato può rovinare sia le sue qualità alimentari che sensoriali. Chiunque lavori il miele professionalmente sa che dovrà controllare tutte le fasi di produzione e limitare al massimo l’uso del calore alle strette necessità.
Cero che sì. Ad esempio, sento molti produttori consigliare la clientela di mettere il vasetto a bagno maria. Può andare bene, ma bisogna avere attenzione: visto che il calore nel miele non si trasmette facilmente, sarà necessario non abbandonare il vasetto nell’acqua aspettando che si scaldi ma sarà necessario mescolare spesso il contenuto così che la parte più calda esterna sia trasferita all’interno e viceversa. È quindi un processo piuttosto lungo, anche 30 minuti, stando attenti che l’acqua non raggiunga temperature troppo alte.
Molto più veloce sarebbe il forno a microonde. Per un vasetto da 500 grammi di miele ci vorranno circa 6/7 di minuti ad una potenza intermedia. Ogni 2/3 minuti sarà necessario rimescolare per ripartire il calore in modo uniforme.
Recentemente si è affermata una leggenda metropolitana per la quale se il miele è messo in una bevanda calda, ad esempio il tè, diventa tossico. Chi l’ha pensata la prima volta, probabilmente, ha letto da qualche parte che il calore fa sviluppare nel miele l’HMF. Vero, peccato che non ha tenuto in considerazione due fatti.
Primo: il cucchiaino di miele si mette nella bevanda quando sta andando incontro al raffreddamento. Basti dire che la sensazione di estremo bruciore nel sorseggiare del tè si ha anche a 45°C. Ovvero noi riusciamo a bere un liquido caldo solo quando la sua temperatura è inferiore a 40°C. Inoltre introdurre un cucchiaino di miele nella bevanda fa abbassare velocemente la sua temperatura.
Secondo: la quantità che può trasformarsi in HMF per questo evento è davvero irrisoria (ti consiglio di leggere l'articolo dedicato all’evoluzione dell’HMF nel miele mettere link a questo articolo). Chi vuol evitare di assumere HMF sarebbe meglio si tenesse lontano da una serie di altri alimenti che ne contengono anche 1.000 volte più di un miele degradato. Insomma, pare proprio una notizia confezionata per spingere il consumatore verso l’uso del saccarosio - lo zucchero di barbabietola o di canna - dato che, avendo una molecola composta di fruttosio e glucosio, anche lui segue le regole sulla degradazione in HMF del miele, anzi. Essendo un prodotto industriale e non vivo, la sua degradazione non ha i freni che nel miele sono costituiti dalle molecole antiossidanti come i flavonoidi.
Per la lavorazione del miele oltre alla camera calda, potrebbe essere utile anche una camera fredda (che possa raggiungere i + 14-15°C) per guidare la cristallizzazione e rendere il miele cremoso. Articolo: Ecco perché il miele si indurisce e cristallizza →
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