Fare apicoltura oggi, soprattutto se da questo mestiere si vuol trarre del reddito, è diventato estremamente difficile, pressoché impossibile senza un lungo iter formativo. Eppure solo 50 anni fa era considerato un lavoro semplice, quasi banale se non fosse perché le api pungono e non fa piacere a nessuno essere regolarmente a contatto con chi ci può provocare del dolore. Basta parlare con qualche vecchio che ha abitato la campagna per capirlo; ci racconterebbe che quando era giovane quasi ogni famiglia aveva degli alveari che sistemava in qualche avanzo di terra difficile da coltivare; le visite agli alveari si limitavano a quelle necessarie alla smielatura o poco più.
Perché tutto è cambiato? La società moderna ha un dogma: lo sviluppo. Qualsiasi Governo che si alterna alla guida di una nazione può cambiare tante politiche ma su una sono tutti concordi di anno in anno il PIL deve crescere. Ma per rispondere all'imperativo della crescita le aziende (e mi ci metto anch'io che traggo gran parte del mio reddito allevando questo paziente insetto) hanno portato alle estreme conseguenze un modo di fare apicoltura sempre più esasperato in cui ci si sente in diritto di imporre alle api qualsiasi tecnica che apporti anche un minimo vantaggio economico. Naturalmente questo è un problema di ogni comparto produttivo e l'abuso di pesticidi in agricoltura non è figlio che della stessa matrice culturale, ma a rimetterci anche in questo caso è l'ape (anche noi, a lungo andare, però) che spesso cade vittima innocente dell'avvelenamento delle campagne. La difficoltà a mettere al bando tutta una serie di pesticidi la cui pericolosità per la salute umana è oramai conclamata, la dice lunga di come questa cultura sia difficile da sradicare.
Ma per l'umanità è opportuno che per allevare un insetto talmente utile sia necessario arrivare ad così alto grado di specializzazione?
Se fosse solo perché dal suo allevamento si ricavano tanti prodotti utili alla nostra vita (miele, cera, propoli, polline, pappa reale e, ora, anche il veleno) allora, forse, si potrebbe anche sospendere il giudizio, ma analizzando il suo vitale ruolo di agente impollinatore di piante di interesse agricolo e ambientale, allora le cose cambiano.
Il primo ad essersi interessato alla semplificazione dell'apicoltura fu negli anni '40 dello scorso secolo l'abate francese Émile Warrè (che aveva intuito quali problemi erano nascosti dietro le arnie a favo mobile (soprattutto il modello Langstroth e Dadant) che piano piano stavano soppiantando le vecchie arnie tradizionali a favo fisso. Innanzitutto la difficoltà di autocostruzione e di gestione che relegava l'apicoltura ad allevamento per pochi specializzati (quello che poi è effettivamente successo), mentre lui pensava che sarebbe stato meglio se ognuno poteva prodursi il proprio fabbisogno di miele. Inoltre aveva capito che le moderne arnie non seguivano il naturale comportamento delle api, ma cercavano di piegarlo alle necessità dell’apicoltore.
Costruì un'arnia che più di tutte rispetta ciò che l'ape realizza in natura: in essa le api possono costruire i favi partendo dall'alto e proseguendo il loro lavoro verso il basso; ha la forma che grosso modo avrebbe il suo naturale ricovero, il tronco di un albero, e rispetta il normale flusso d'aria che c'è nell'arnia naturale. Al contrario, nelle arnie a favo mobile, per lo spazio che c'è tra telaino e parete dell'arnia, necessario per poter estrarre il favo, il calore si omogeneizza tra i telaini. Se i favi, invece, sono attaccati alle pareti dell'arnia, l’aria (specialmente quella calda) rimane imprigionata tra i favi, soprattutto se sono “a caldo” – ovvero paralleli alla porticina di volo – come le api preferiscono costruirli; in tal modo le api sono facilitate nel mantenere il calore del nido.
In questo tipo di arnia, inoltre, per produrre miele non è necessario aprire spesso l'alveare e non permette, anche volendo, di sottoporre le api alle tecniche più spinte di produzione; inibire la sciamatura è pressoché impossibile.
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Nel 1964 nacque dalla mente di alcuni ricercatori inglesi tra i quali la grandissima Eva Crane, l'idea di realizzare un'arnia che fosse abbastanza semplice da costruire e facile da utilizzare per venire incontro alle necessità dell'apicoltura africana. L'archetipo ha origine in Grecia, dove già nel '600 esistevano degli alveari dai quali era possibile estrarre i favi, malgrado essi fossero integralmente realizzati dalle api dell'alveare; erano semplicemente dei cesti chiusi superiormente da apposite barrette di legno (top bar) sotto le quali le api costruivano i favi di cera. Dall'evoluzione di questa arnia nacque, qualche secolo dopo, la Kenya top bar hive (KTBH) che oggi è una delle arnie più impiegate ed apprezzate in Africa, ma anche una delle più utilizzate fra coloro che contestano il metodo attuale di fare apicoltura.
È un'arnia a sviluppo orizzontale, senza melario, dalla forma trapezoidale. Il cardine di questa arnia è proprio la sua forma, con i lati che hanno una pendenza interna che evita che le api attacchino i favi alle pareti laterali, permettendo l'estrazione dei favi. Questi sono attaccati alle barrette (top bar) che, come nell'arnia a cesta di origine greca, vanno a chiudere superiormente l'arnia. Per invogliare le api a costruire i loro favi proprio nel centro della barretta, è necessario disporre un avviamento, ovvero una escrescenza, che può essere di cera (es. 2 - 3 cm di foglio cereo) o realizzata con una fresatura del legno a T con la gamba, cerata o non cerata, estremamente ridotta oppure semplicemente attraverso un cordino immerso nella cera, attaccato alla barretta prima che la cera si solidifichi (https://www.apiservices.biz/en/articles/sort-by-popularity/783-the-kenya-top-bar-hive-ktbh-as-a-better-hive-in-the-developing-world)
Il punto di forza di questa arnia, che la rende davvero interessante per coloro che vogliono fare apicoltura in modo semplice, senza velleità di ricavarvi il reddito principale della propria vita, è l'estrema facilità costruttiva e l'economicità. Infatti può essere agevolmente autoprodotta a partire da legni di scarto ed è possibile produrre miele rinunciando a molte delle attrezzature necessarie quando si usano arnie tradizionali. Per la raccolta del miele si utilizzerà il torchio e oltre al miele si avrà a disposizione anche molta cera (circa 3 kg ogni 100 kg di miele prodotto) con la quale è possibile realizzare pregiate vernici o profumate candele.
Sia che si scelga l'arnia Warré che la KTBH, si avrà anche la sensazione di allevare le api seguendo la loro naturale inclinazione, senza avere l'assillo della produzione. Le api sembreranno anche ringraziarci per la scelta regalandoci una sorprendente docilità; il che permette di limitare le precauzioni necessarie ogni qual volta si dovranno aprire per una visita. Diventano, quindi, ideali se si vogliono disporre vicino alla propria abitazione o nell’orto.
Incrociare lʼArnia del Popolo, ideata dallʼabate francese Emile Warré, è stato per me inevitabile. Ci sono persone che sono particolarmente lungimiranti, a mezza strada tra lʼessere previdenti e lʼessere preveggenti, e Warré senza dubbio lo era. Lo era non perché ideò lʼarnia che è a fondamento di questo trattato ((http://www.edizionimontaonda.it/it/apilogia/abate_warre_lapicoltura_per_tutti_sc_22.htm)); ma fosse solo per questo, lo si potrebbe ricordare al massimo come un buon conoscitore del comportamento delle api.
E conoscitore lo era veramente, perché aveva capito, con largo anticipo, che perseguendo la strada aperta da Langstroth con lʼintroduzione della sua arnia, lʼapicoltura sarebbe diventata presto affare di pochi apicoltori super-specializzati.
E quindi creò e diffuse un metodo di apicoltura semplificato - il tema di questo libro - che potesse andare bene per tutti, affinché tutti possano produrre il proprio fabbisogno di miele, e per diffondere il più possibile le api, perché il mondo ha bisogno di loro per l’impollinazione.
Nel 2006 il mondo ha cominciato a comprendere che le api stavano soffrendo ed alcuni apicoltori (e tra questi mi ci metto anch’io) hanno creduto che forse era possibile migliorare il loro stato di salute migliorando l’arnia.
Nel perseguire questa ipotesi, una decina di anni fa ho popolato 30 arnie Warré ed anche alcune Top Bar Hive (un tipo di arnia che al tempo di Warré non esisteva, perché fu messa a punto negli anni ʼ60 dello scorso secolo per cercare di rendere più produttiva lʻapicoltura in Africa). Ora mi sto preparando per le prossime stagioni ad estremizzare ancora di più il concetto di naturalità (mai del tutto raggiungibile) e semplicità.
Dellʼarnia Warré ammiro la bellezza, la semplicità costruttiva e la relativa economicità, se si eccettua il tetto che, però, ha il suo perché: nelle arnie a favo naturale, il favo, non sostenuto da alcun filo dʼacciaio, può crollare facilmente per lʼeccessivo calore - e quindi unʼefficace coibentazione della zona superiore è fondamentale; lo stesso Warré, però, ne dà anche una versione più economica e altrettanto sicura.
Mi piace poi perché è lʼarnia che più di tutte rispetta ciò che l'ape realizza in natura: in essa le api possono costruire i favi partendo dall'alto e proseguendo il loro lavoro verso il basso; ha la forma che grosso modo avrebbe il suo naturale ricovero, il tronco di un albero; rispetta il normale flusso d'aria che c'è nell'arnia naturale, cioè senza alcuna comunicazione tra le zone interfavo, come al contrario avviene nell'arnia Langstroth o affini.
Se il fine dell'apicoltore è allevare, fidandosi più delle api che di se stessi, al massimo una decina di alveari per produrre miele per la propria famiglia e, con il surplus, allietare la mensa di amici e parenti, allora arnie come l'Arnia del Popolo e soprattutto il metodo di lavoro descritto da Warrè, o la KTBH, sono a mio avviso quelle preferibili. Perché sono semplici da seguire, perché sono arnie facili da autocostruire e, se realizzate con legni di scarto, assolutamente le più economiche.
Dal 1986 formiamo ogni anno centinaia di apicoltori/trici con un unico grande obiettivo: lavorare e vivere in libertà in mezzo alla natura salvaguardando la biodiversità e l'equilibrio del nostro pianeta attraverso l'apicoltura biologica e rigenerativa. Sia hobbisti che professionisti.
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